Gian Marco Montesano: Dietro le quinte. F. Gian Marco Montesano oltre ad essere un affermato artista, noto al pubblico per le sue pitture spesso legate alla Grande Storia e all'immaginario collettivo di noi italiani, è anche un regista di teatro. Che rapporto hai con questi due contesti espressivi? M. Non considero l'arte e il teatro due distinti contesti espressivi. Per me si tratta di un' unica logica dell'espressione. L'artista è colui che comunica utilizzando quel che trova, che sia carta, tela, marmo, colore o scrittura. Io lo faccio con la pittura e il teatro. Ho cominciato con il teatro e solo in seguito ho deciso di prendere sul serio anche la pittura. Nonostante io abbia, parallelamente, sempre dipinto, all'inizio mi sono dedicato principalmente alla scrittura per il teatro e poi alla regia. F. Dove e quando nasce dunque il tuo interesse per la pittura? Ci puoi illustrare le tappe più significative del tuo percorso artistico? M. Io ero, ma in fondo lo sono tutt'oggi, un autodidatta della pittura. Sono stato in Seminario, poi ho fatto il Servizio Militare. La mia famiglia orbitava nella galassia dello spettacolo. Mio padre nel "Teatro di Varietà" prima, poi nell' "Avanspettacolo". Mia zia, Isa Pola, è stata una celebre attrice degli anni trenta, ha recitato in "La canzone dell'amore", primo film sonoro della cinematografia italiana. Comunque, finito il Servizio Militare sono entrato in contatto con lo Spettacolo ( cominciando dal Night dove era finito mio padre), in seguito ho messo in piedi una mia compagnia "sperimentale". Ecco, ho cominciato così: scrivendo, dirigendo e realizzando spettacoli di teatro sperimentale. Ero già in qualche modo artista. E' stato solo dopo, vedendo muoversi sul palcoscenico le immagini delle mie idee, che ho capito l'importanza della pittura, intesa come immagine ferma, immobile per sempre... o quasi.. Prima dipingevo per piacere. Ad un certo punto la pittura ha smesso di divertirmi ed è diventata un problema, è diventata importante. Molto è dovuto anche al consenso degli altri ovviamente. Non conoscevo assolutamente nessuno nell'ambito dell'arte, non me ne ero mai interessato. F. La tua pittura quindi è libera da riferimenti artistici del passato? M. Questo forse è il nodo del "caso Montesano". Prima di cominciare a dipingere posso dire di non aver mai visto una mostra d'arte. Conoscevo i fondamentali, cioè quello che sanno tutti e nient'altro, ecco perché quel che faccio non ha riferimento alcuno alla storia dell'arte. I miei riferimenti vengono da un altro territorio, quello della scrittura, in particolare drammaturgica, ma anche dalla filosofia. Sono di carattere letterario e teatrale e, per naturale passaggio, anche cinematografico. Ma, soprattutto, mi riferisco a quei "fantasmi" che chiunque può incrociare sulle bancarelle di un mercatino: vecchie foto, cartoline, giornali, riviste illustrate, etc... insomma, l'alto e il basso, tutto l'inconscio collettivo del 1900. Questi sono i riferimenti, non ne ho altri. Mi sono dovuto inventare una scrittura, come un analfabeta che cerca di fare i primi segni per imparare a scrivere. Di conseguenza mi sono dovuto creare anche una calligrafia. I primi risultati erano come quelli di un bambino che fa " le aste " come si faceva alla Prima Elementare di qualche anno fa e i contenuti non avevano nulla a che fare con la storia dell'arte. Superati i primi risultati, ho messo in piedi un mio modo di esprimermi, esattamente riconoscibile. Un modo diverso di intendere la pittura di immagine. F. I soggetti della tua pittura sono sempre presentati in modo esplicito e riconoscibile, si direbbe con realismo. Anche la scelta dei temi che, nei cicli più celebri, sono per lo più tratti dalla storia, dalla politica, dalla religione, sembra far trasparire una certa tensione verso la realtà. Quanto è importante la realtà per te ? M. Il mio rapporto con la realtà è di profondo fastidio, diciamo pure un drammatico rifiuto. Mi spiego: è chiaro che i codici di una certa banalizzazione e categorizzazione dell'arte vogliano che la pittura figurativa sia correlata al concetto di realtà. Ma quella che viene rappresentata non è realtà, quello che viene rappresentato non è altro che Mimesi, come direbbe Aristotele, cioè pura imitazione della realtà. La pittura astratta invece non nasce con l'intenzione di creare un fantasma o la riproduzione mimetica di qualcosa che esiste, e così facendo dà vita ad un nuovo pezzo di realtà. Io, con le immagini, produco fantasmi. Il fatto è che, concettualmente, detesto la realtà. C'è forse bisogno degli artisti per sapere in cosa consiste la realtà? Nascere, riprodursi e sparire! Ecco la realtà. Ecco la maledetta verità. E tutti, ma proprio tutti la conoscono e la subiscono. Alla larga dalla realtà e dalla "verità". Mi interessa la finzione, l'illusione, il gioco, mi interessano i fantasmi della storia. F. In quale misura ed in quali forme le nuove tecnologie possono aiutarti a realizzare questo tuo pensiero artistico? M. Le nuove tecnologie producono virtualità, illusione, immaginazione. I segni e il linguaggio sono la nuova realtà. La tecnologia mi aiuta a assemblare immagini per le quali tempi la pedanteria cronologica non esiste più. Per fare un esempio, posso molto rapidamente mettere un'immagine di Nilla Pizzi del 1950 davanti alla Porta di Brandeburgo della Berlino del 1945. In questo modo, pur lavorando con elementi che sono apparentemente reali, produco finzione, menzogna illusoria necessaria per sopportare l' "insostenibile leggerezza dell'essere". Faccio questo proprio per progettare la distruzione della realtà servendomi dei fantasmi della realtà stessa. F. Quali motivi ti spingono a prediligere il bianco e nero al colore? M. Scelgo di dipingere in bianco e nero per fare un ulteriore passo avanti nel togliere realtà alla realtà. Noi non vediamo la realtà in bianco e nero ma la vediamo e percepiamo a colori. Togliere colore ad un'immagine che sembra vera, " reale " vuol dire quanto meno togliere all'immagine quella dose immediatamente evidente di realtà e spostarla su un piano mentale. Infine, il cosiddetto bianco/nero. Ha meno colesterolo, è meno "grasso". Meno sensuale di tutta quella materia colorata che usano i pittori veraci. Io sono soltanto un'ilusionista che esegue il proprio "numero" giocando con le immagini. F. L'arte contemporanea riscontra purtroppo una grande difficoltà nel comunicare il proprio messaggio. Tu senti l'esigenza di rendere le tue opere accessibili al grande pubblico? M. No, non sento assolutamente questa esigenza. Penso che un'arte importante sia di per sè accessibile, in qualche modo. Se risulta del tutto inaccessìbile mi chiedo se sia veramente arte importante. F. Per l'esposizione presso lo spazio eventi Ferrarin Arte hai selezionato opere legate ai temi del teatro, della musica e della danza. Dipinti, tecniche miste e disegni di periodi diversi, raccolti sotto un unico titolo: "Dietro le quinte". Titolo che evoca un luogo e un modo di osservare da una diversa angolazione. Vuoi spiegarci? M. Il mondo è Teatro. Tutto il mio lavoro deriva da una personale posizione esistenziale: intendo il mondo come una grande scena teatrale e la vita come un'azione che si svolge sul palco. C'è un inizio, c'è una fine, inesorabilmente cala il sipario sulle comparse come sui protagonisti. Nel corso della rappresentazione (nel corso della vita) si svolgono le azioni: divertenti, dolorose, comiche, tragiche, passionali, etc., azioni complesse e interessanti fin che si vuole ma, sempre e comunque, transitorie, effimere, destinate a sparire. Ognuno interpreta un personaggio: qualcuno diventa presidente degli Stati Uniti un altro sarà clochard ma sono soltanto figure che si muovono sulla stessa scena di un unico teatro. Quando cala il sipario diventano tutte maschere, costumi, oggetti, tracce, resti accumulati DIETRO LE QUINTE. Ho scelto quel titolo proprio per indicare la sintesi del mio lavoro del mio modo di intendere la vita. Questa mostra vuole mettere insieme le tracce, i costumi, i resti di uno spettacolo sul quale si è chiuso il sipario. DIETRO LE QUINTE si accumulano senza più distinzioni di tempo, luogo, importanza, grado, valore, etc...soltanto maschere, costumi di scena, abiti di circostanza, oggetti di buono o pessimo gusto.... insomma, quel che resta di una vita. DIETRO LE QUINTE non c'è più né tempo né cronologia. Per esempio finisce uno spettacolo e rimane un costume da bersagliere, finisce un altro spettacolo e rimangono le cose che identificano Napoleone; questi due costumi, che appartengono a spettacoli diversi ed epoche diverse, si ritrovano ora a vivere insieme, indifferenziati, abbandonati per sempre DIETRO LE QUINTE. F. Hai accettato l'invito ad esporre le tue opere presso lo spazio eventi Ferrarin Arte, uno spazio diverso dagli schemi convenzionali della classica galleria, non tanto nella forma, ma soprattutto nel modo di divulgare l'arte, facendo incontrare ad un pubblico appassionato i volti dell'arte contemporanea. Come ti sei trovato nell'interagire con questo particolare modo di operare di Giorgio Ferrarin? M. Ho fatto questa mostra perché dal primo incontro mi sono trovato bene. Mi sono trovato in sintonia. Con Giorgio Ferrarin fin dal primo incontro, parlando, ho instaurato un rapporto di fiducia, per questo ho deciso di collaborare con lui nella realizzazione di questa mostra. Poi si vedrà. |