Luca Alinari: La vita che corre. F. Scorrendo sulle sue opere, realizzate in diversi, momenti di questi ultimi anni, si è portati a concludere che lei ha mantenuto, comunque, un'identità precisa: ci dica se ciò deriva da un percorso, anche se intimo, ma in sé prefissato, o da un sentimento istintivo, oppure da una o più certezze. A. Credo che la mia identità derivi soprattutto dalle mie incertezze. Tutte le difficoltà, tutti i dubbi del vivere mi riconducono, ogni volta, al gesto della pittura. Che, a sua volta, mi avvolge, ci avvolge, nella luce di un enigma continuo. Si dipinge sempre quello che non si sa. F. Negli anni '70 (la data, dell'opera è il 79) lei propone campi, pittorici aperti, spaziosi, di lieve respiro e colori uniformi. Ci riferiamo, tra l'altro, a "Una visione del Telemaco Signorini", il grande artista che occupò quasi l'intero '800 con una pittura precisa e delicata, riproducente vedute e animazione esterna oppure interni caldi e familiari. Anche in quell’opera lei lascia intravedere una collocazione fantasiosa di soggetti. Ci vuole dire quanto e come di ciò che propone oggi, vive in quegli anni? A. Dipingere è qualcosa di automatico. Ma i micro-gesti dell'invenzione non sono inconsci. Forse inconsapevoli ma non inconsci. Inventare, cioè dipingere, vuol dire muoversi su tempi diversi. Per la precisione terribilmente accelerati. Non qualcosa, quindi, che viene da una nebulosa oscura che agisce dentro di noi. No. Piuttosto una forma di pensiero velocissima e quindi impercettibile che si "ferma" nei movimenti della matita o dei colori. Del resto quando si dipinge si può pensare anche ad altro. A canzonette, per esempio, o a lontane gite in montagna. O a qualcuno che abbiamo perduto o trovato. La pittura è la vita che corre. F. Qualcuna ha azzardato, su di lei, un suo lieve "sfioramento”al Pop e al Figurativo: potremo lasciare al lettore delle sue opere II giudizio o la classificazione. Ma preferiamo chiederle di precisare una risposta chiarificante sull’argomento. A. Da ragazzino, sulle spiagge, raccoglievo ciottoli o tubetti strizzati di dentifricio. I ragazzini amano gli oggetti trovati. Poi arrivano i codici, i sistemi. I variegati rituali delle biennali accademie. Un giorno, sulle spiagge, troveremo anche quelli. F. Quando si pone Alinari in una "esposizione ellittica", ci viene la tristezza di una "limitazione" che lei ci pare non avere. Ci vuole aiutare a capire come, eventualmente, accettare o no quella "collocazione"? A. In un allegro gruppetto di parole, come è noto, non cambia il risultato neppure se un vento dispettoso ne scompagina. le accurate ubicazioni. F. Qualcuno la fa nascere tra gli orrori della seconda guerra, mondiale; quindi con conseguente senso di "ineluttabile contraddizione", di "assurdo incombente", di "gioia differita", di "tragedia mutata in favola". Tutto questo sarebbe il "tono” delle sue opere. Ma quando lei nasce, nel 1943, siamo quasi al termine di quella guerra, perciò la sua formazione sentimentale, culturale e gli elementi di spinta creativa e, poi, evolutiva in espressioni artistiche si sviluppano in un clima "sereno". Questo è il nostro pensiero: lei come spiega la sua vita artistica, dal "concepimento" delle sue prime opere fino alla più travolgente realizzazione di oggi? A. Una cannonata tedesca aveva colpito il terrazzo di casa mia, un appartamento al primo piano del numero undici in via Fratelli Dandolo a Firenze. L'apertura era rimasta per anni, e solo alcuni vasi, di gerani poco annaffiati mi difendevano dal piccolo baratro che guardava la strada sassosa. Dalla mia altezza di allora, attraverso quella ferita della guerra recente, potevo osservare facilmente i rari passanti che avanzavano piano piano. F. Nelle sue opere, il "lettore" deve obbligatoriamente intuire "l'origine" del mondo oppure un "dopo la fine" del mondo, oppure, ancora, qualcosa di diverso che lei ancora non ha voluto rivelare? A. Ho sempre detestato la fantascienza. Derivati e iperboli vieppiù. Considero fantascienza anche un congruo numero di avventure psicologistiche sparpagliate nei cinema e nei romanzi. Ma veniamo al sodo e cioè alla risposta: qualche giorno fa un incontro in centro. Un vecchio amico, mio collega nei cinque giorni di militare che ho esercitato con l’Invidiabile devozione dei pittori. Parlavamo, spinti da una folla senza riguardi, del più, del meno. Di piaceri, di dolori. Quando, con esercitata coda dell'occhio, decifrai II titolo della conferenza nell'antro oscuro di un palazzo medievale: "Quale futuro per la preistoria?". Hostess e sostenitori diffondevano foglietti. L'amico, lieve, continuava a tacere, ma io, oramai, non lo ascoltavo più. F. Quanto c’è nelle sue opere, delle rivelazioni emergenti di Klee o delle descrizioni dinamiche o pastorali di Dufy, oppure di altri autori a cui le piace accostarsi? A. "Essi credono di offenderlo" è un buffissimo signore costituito da pochi segni neri su di un fondo biancastro. Visto da più lontano potrebbe sembrare un giardino all'italiana. Da più lontano ancora la mappa di un labirinto. Più ci si allontana più i quadri di Paul Klee sembrano se stessi. F. Stare dinanzi a un quadro di Luca Alinari, è abbracciare e spaziare insieme "espressioni totali". Ma come nascono le sue opere? Da lumi storici, da spirito critico ambientale o sociale, oppure, ancora, da un'ironia piena di colore e di movimento? A. Non c'è niente di peggio che ritrovare un proprio quadro dopo troppo tempo. Come certe persone che ci pare di riconoscere, forse. Non sappiamo se salutare o se eludere il tutto con un organizzato sguardo sul volo ardito di certi piccioni. Così quel quadro è e non è. Ci sembra, non ci sembra. Cosa avrà fatto nel frattempo? Cosa diavolo gli sarà successo? Non ci importa più iI suo codice genetico, e neppure la forma della sua conformazione. Per educazione vi sostiamo davanti. Ne osserviamo gli angoli, il centro, i lati. Una vocina dentro sembra dirci: «Ma si! E' proprio lui, cioè, sei proprio tu. Non ti riconosci? Non ti piaci?» F. "Modellini nella nebbia" - "Lustrascarpe, lacchè, leccaculo" -"Istmo di Zolfo" - "Omissis" “Boschetto delle metafore" -"Tutto su Stalingrado" - "Un Picasso a Paperopoli", sono titoli di sue opere degli ultimi anni. Vorremmo chiederle se nascono prima i titoli o prima le opere, ma preferiamo chiedere se tali opere hanno riferimento preciso a sentimenti suoi, ad avvenimenti e se sono sollecitate in lei da reazioni, e quali. A. Il buon pittore non sempre gratifica un suo quadro con un titolo. I senza titolo abbondano e conservano una loro dignitosa riservatezza. Intollerabile è il titolo arbitrario appiccicato da terzi. Terzi provveduti soltanto di gallerie equo canone o raccapezzati ambienti fieristici o museali (è, quasi, lo stesso). Provveduti, questi terzi, financo di copioso sangue di pittori morti. Dal quale si aspettano, a ragione, gloria, economia, prebende. Altri quadri, più fortunati, esibiscono il loro titolo originale, il blasone di non-appartenenza. Nello studiolo del buon pittore, titoli e quadri si cercano e si trovano in piccoli matrimoni fecondi. Deve esserci, da qualche parte, deve esserci in qualche punto della cameretta. Deve esserci "un dio nella sua forma liquida". |