Testo di: Bruno Saetti - La forma come Materia - Colore

Bruno Saetti: La forma come materia - colore
Testo Critico a cura del Prof. Toni Toniato.

Sulla pittura di Brano Saetti esistono contributi critici dei maggiori studiosi del nostro novecento, da Ragghianti a Marchiori, da Mazzariol a Solmi sino alle recenti indagini condotte da giovani specialisti corno Dino Marangon e Maria Luisa Frisa, i quali hanno offerto interpretazioni non solo da condividere ma da ritenere indispensabili per pertinenza e profondità concettuale. E tuttavia l'importanza storica dell'artista non sembra ancora del tutto riconosciuta come merita, nel senso che la grandezza della sua pittura rimane purtroppo condizionata da un pregiudizio dovuto principalmente al fatto che egli non appartiene ad alcuna delle tendenze a suo tempo emergenti, se non poi egemoni, nel contesto italiano, come a dire che la sua singolare indipendenza, anziché costituire un fattore già di per sé distintamente rilevante, pesa viceversa sulla giusta collocazione che dovrebbe a ragione vantare ormai il suo originale percorso creativo nel panorama dell'arte dei ventesimo secolo. Anche nei recenti tentativi di revisione, e di altrettanto necessaria rivalutazione di certi fenomeni artistici del Novecento, poste in atto da parte di autorevoli critici, si è ugualmente proceduto in genere a privilegiare i movimenti o, comunque, i loro esponenti più che quelle figure che si sono mosse con autonomia, cioè si è continuato a mettere in primo piano la novità delle idee anziché la qualità delle singole risoluzioni espressive, con l'effetto di non tener conto, invece, della coerenza di coloro che hanno seguito uno sviluppo personale, indenne da mode o da condizionamenti del gusto corrente, libero quindi da vincoli esterni e tale in ogni caso da dimostrarsi pur sempre di non minore tenuta e valore storico. Per di più Saetti appartiene per nascita ad una generazione che non è strettamente quella che accomuna, anche per contiguità di esperienze, le ormai accreditate ancorché distinte vicende dei "maestri" generalmente .riconosciuti del primo novecento, come a dire quella di Balla e di Boccioni, di Carrà e di De Chirico, di Morandi e di Sironi, di Casorati e di Guidi, pionieri, in questo senso, delle svolte che si sono succedute in quel cruciale periodo e nemmeno può venire poi inquadrato nella generazione, a lui cronologicamente più prossima, non a caso poi definita di mezzo, quella infatti comprendente, tanto per fare qualche esempio, i protagonisti successivi come Guttuso e Bicolli, come Afro e Santoniaso, come Merlotti e Vedova, come Turcato e Burri, bensì egli si colloca - non soltanto allora per età - su una linea per certi aspetti di più breve transizione tra tali determinanti polarità, entro le quali si è soliti individuare per l'appunto le tappe culminanti della nostra cultura artistica. D'altra parte Saetti non si forma, né vive in modo diretto le svolte dei due primi decenni del secolo, contrassegnati, in Italia, dai radicali precorrimenti dei futuristi e dalla "controriforma" avviata dalla Pittura Metafisica e in seguito ritualizzata nei celebrati "richiami all'ordine" innescati a loro volta, sia pure differentemente, dal gruppo dei Valori Plastici e dai "novecentisti" della Sarfatti. Storicamente il panorama dell'arte moderna italiana è assai più complesso ed articolato ma nondimeno la Bologna di quel tempo, la città natale dell'artista, dopo l'episodio clamoroso ma breve della mostra di novelli "incamminati"- tenutasi per un solo giorno, il 20 marzo del 1914, all'Albergo Baglioni - punterà contrariamente a ritrarsi verso altre posizioni per fare magari i conti con il proprio fastoso passato, ed escludendo Morandi e Corsi che seguiranno strade diverse e ben più feconde, l'ambiente artistico locale si verrà ad attardare così nostalgicamente a ripensare di poter aggiornare una tradizione per tanti versi ormai irrecuperabile. Saetti si trovava dunque nella sua formazione artistica a cimentarsi con quei modelli, sebbene la sua ricerca si orienterà ben presto nella cruciale direzione di un rinnovata primarietà, mirando a riproporre addirittura echi di remoti etimi, anzi risalendo in seguito nientemeno che ai primordi della pittura compendiaria classica, mutuata e rigenerata attraverso una particolare sensibilità personale e una straordinaria perizia relativamente esercitata sia nell'antica pratica dell’affresco che del mosaico, Breve sarà infatti per lui l’attrazione che l'avrebbe portato in un primo periodo a risentire deH'influsso di un pittore come Armando Spadini a quel tempo celebrato dalle stesse Biennali veneziane dell'epoca ma anche simile interesse risulterà confermare semmai, nella significativa tangenza stilistica, l'innata disposizione di Saetti per un certa concezione delle forme quale necessario esito di una dominante plasticità della materia-colore, di una fisicità naturale dell’immagine, nel senso per l'appunto di una concretezza sensuosa, carica di pienezze vitali e dello sguardo e dell'animo. Le giovanili prove figurative preludono del resto a risoluzioni che dovranno sempre più caratterizzare l’evoluzione della singolare modernità del suo linguaggio pittorico, pur nei doverosi imprestiti, di volta in volta acquisiti, prima, dal '500 -'600 emiliano e, poi, da Giotto e dalla pittura pompeiana, così come da Goya e Renoir più che, in effetti, da Spadini, ed insieme dal plasticismo classicheggiante del Picasso "italiano", ma altresì da quella dizione di realismo magico anticipata da certi protagonisti del grappo del "Novecento", come a dire, anche in questo caso, più Casorati che Sironi, più Guidi che Morandi. Questi elementi di riferimento che accompagnano e scandiscono in qualche modo il lungo itinerario creativo compiuto da Saetti devono allora assumere, se si vuole comprenderne le spinte ideative e le progressive valenze pittoriche, una ragione soprattutto formale e stilistica e non semplicemente tematica mentre si è in genere dato al contrario fin troppo importanza agli aspetti propriamente iconografici dei suoi soggetti, delle sue scelte nell'ambito in prevalenza di un intimismo famigliare - peraltro ricorrente nel clima culturale italiano di quegli anni - che hanno condotto probabilmente i suoi interpreti ad accentuare o a privilegiare di solito la componente, in lui, propriamente affettiva e sentimentale, giungendo spesso a scartare oppure a non tenere sufficientemente conto, invece, di altre più decisive motivazioni. Né deve contare più di tanto dunque la predilezione del pittore per un mondo figurativo costituito da simili problematiche che ci si ostina ad identificare ideologicamente con lo spirito borghese dell'epoca, quando tali pretesti vengono invece da lui utilizzati per ricercare o, meglio, per ricreare soluzioni espressive di ben diverso significato. Se i contenuti, anzi le fonti dell'ispirazione dell'artista sono infatti quelle di una realtà figurativa da lui sapientemente traslata in una rappresentazióne di mirabili immagini ed ambienti del suo mondo privato ed ideale, i magnifici ritratti della moglie e dei figli, le rinomate maestose maternità, le solide e succose composizioni di nudi femminili e di atleti in riposo, le ieratiche raffigurazioni sacre, le sintetiche e corpose nature morte, fatte di oggetti comuni : frutti, caraffe, fiori, stranienti musicali, ebbene tutto questo corrisponde piuttosto a un repertorio tipico per tutti coloro che si sono provati con questi generi abituali della pittura, proponendo raffigurazioni in sostanza variamente poi elaborate sia dai linguaggi sperimentali delle avanguardie che da quelli ancóra ancorati a tradizioni naturalistiche locali, aspetti che appunto si distinguono non sul piano tematico ma su quello delle loro prospezioni concettuali ed espressive. Occorre pertanto seguire l'effettive novità formali e tecniche della maturazione stilìstica dell'artista il quale da quelle premesse saprà coerentemente procedere verso un sintetismo plastico di concreta astrazione, senza troppo rimarcare gli inevitabili scarti, le progressive cesure tra il corposo e greve tonalismo delle sue opere "classiche", tra gli anni Trenta e Quaranta, e l'espanso e vibrante colorismo materico della sua produzione successiva, mirando invece a colmare il divario stilistico che pure esiste, come per ogni altro valido artista, nel necessario sviluppo della propria ricerca e delle relative esperienze linguistiche. La svolta che egli imprime in questa direzione si affaccia già durante la sua presenza a Venezia, dove egli arriva nel '30, per intraprendere l'insegnamento all'Accademia, dovuta in gran parte a contatto con una reale ambientale e culturale quanto mai diversa rispetto a quella della Bologna della sua formazione e dei suoi esordi artistici. Qui però verrà a contare, per lui, non solo la situazione locale indirizzata prevalentemente a tradurre ancora i portati dell'impressionismo in svaporate distillazioni percettive, ma le posizioni eccentriche occupate in maniera opposta da due artisti, dalla pienezza solidificata delle forme nella pittura di Cadorine dall'assoluta trasparenza luminosa in quella di Guidi. Ma soprattutto la città, le sue atmosfere, la magia dei luoghi, i suoi incantevoli scorci, saranno il viatico per alimentare incipienti linfe della fervorosa creatività dcU'artista bolognese, indotto perciò a sperimentare nuove e preziose sottigliezze immaginative poi focalizzate sulla rappresentazione dello stesso paesaggio veneziano e in particolare nella sontuosa decantazione sull'iterato motivo del disco solare che costituisce il referente emblema di una misteriosa inesauribile potenza, naturale e soprannaturale. Prima o poi egli si era comunque misurato per rigore di mestiere e severità costruttiva con le tecniche e le funzioni storiche dell'affresco, con gli stacchi e i riporti di questa pittura in una raffinata ricomposizione dell'immagine originaria, esaltandone qualche residuale allusivo frammento, facendo magari emergere dalla consunzione del tempo o dalla decostruzione formale - in ogni caso più uno scavo ideale che un'entropia lessicale — l'integrità puramente fantasmatica di una moderna sinopia, della sua alchemica trasformazione. La dimensione poetica di queste operazioni da lui esperite con prestigiosa raffinatezza ha comunque ben pochi confronti nella cultura figurativa della nostra modernità, forse non si sono colte ancora in modo esauriente le prospettive concettuali e linguistiche aperte da queste sue formulazioni, viceversa intese in senso riduttivo quali reminiscenze di una arcaicità ormai improponibile. Di una sbalorditiva attualità erano invece quei rigenerati primordi, ammantati ancora di una bellezza arcana; vi agisce qualcosa che non può essere calcolato empiricamente e nemmeno prodotto da un severo se non ostinato esercizio tecnico, bensì soltanto percepibile e figurabile per acutezza di sensi e poi trasmesso unicamente per intensità di pensieri e di emozioni. Specie dagli anni Cinquanta in poi Saetti procederà pertanto a condensare gli elementi della sua grammatica pittorica, a sperimentare altri registri e partiture di un lessico figurale che pare farsi, in lui, sempre più astratto, nel senso di un'essenzialità persino di certi valori decorativi che pure facevano parte del suo vasto repertorio espressivo. Stupende geometrie, qui, di un'idea del decor, della qualità della forma propria e mai mera ornamentazione - ma soprattutto concentrerà lo sguardo oltre ogni mimetico rispecchiamento della realtà, agendo per tentare dì superare il mero dato sensibile, la contingenza del riscontro percettivo, arrivando così a trasformare la sensazione in emozione. Avviene nella sua pittura un processo crescente di semplificazione ed insieme di stratificata concrezione delle forme, che porterà l'artista secondo vie proprie a competere con non dissimili proposizioni dell' astrazione pre-informale, ma con l'obiettivo, per lui, di esprimere ancora, attraverso la stessa icasticità segnica e cromatica di immagini potentemente materiche, l'ordine naturale e simbolico di una trascendente struttura del reale, di un'armonia misteriosamente costruttiva insita e nelle figure della mente e del mondo. Concerterà allora con un atteggiamento più pensoso e meditativo i diversi costrutti, i nessi combinatori tra elementi geometrici, tasselli di una scacchiera di splendide riquadrature cromatiche, di rapinosi prospetti su tipiche vedute di luoghi veneziani, dove rifulge ogni volta in modo ora incombente e drammatico, ora appena evocato e Uricamente ineffabile, l'aura metafora del grande cerchio solare - basilare icona di una sacralità cosmica - inaugurando una vibrante tessitura ritmica e spaziale, costruendo una tastiera di infinite varianti tonali, rinnovando di continuo l'assetto compositivo di quelle trame formali - memori, per talune consonanze, dei sublimi tracciati di Paul Klee - e divenuti la cifra stilisticamente inconfondibile dei cicli pittorici dell'ultima produzione dell'artista. Ma il fascino più segreto di queste suggestive iconografie, delle composizioni tarde, sia delle nature morte che delle vedute lagunari, filtrate, queste ultime, attraverso le vetrate dell’imbarcadero, alle Zattere, proviene dallo stesso principio che ne ha nutrito l'intera opera, dagli inizi alla fine, da rintracciare comunque nella sua concezione di una pittura che senza negare un patrimonio peraltro di per sé inesauribile della nostra grande tradizione figurativa, ha saputo manifestare una propria idea di modernità, forse meno precaria rispetto a quella tracciata dai sovvertimenti prodotti da certe più eversive avanguardie, e da lui rappresentata per l'appunto tramite una visione quanto mai singolare - davvero propriamente originale della forma-colore, capace di costruire immagini quindi di una suadente concretezza fisica ed ideale, ossia intrise di una materia- colore che nel rivelarsi sulla superficie, nel configurasi come assoluta emozione, si declina e si decanta in una incantevole riflessione spirituale e poetica. Nella magia di una pittura come la sua, che ha il merito di apparire senza tempo, di essere insieme classica e moderna.

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