Turi Timeti: Ipotesi di perfezione.
Testo critico a cura di Alberto Rigoni.
C'è un'opera, in questa mostra di legnago, che Turi Simeti ha realizzato accettando una sfida che Giorgio Ferrarin gli lanciò quando per la prima volta andò a trovarlo nel suo studio di Milano: creare un lavoro dedicato al 150° anniversario dell'Unità d'Italia che proprio in questo 2011 ricorre. Nell'accogliere l’inedita richiesta, di respiro più simile a quello di una committenza pubblica, Simeti ha pensato a un trittico, formato da tre tele quadrate di 80 cm di lato, e all'interno di ciascuna ha allineato cinque ovali, per un totale di quindici ovali, quasi che ognuno rappresentasse un decennio della storia del nostro Paese. Ciascuna tela porta uno dei tre colori della bandiera nazionale. Ma Turi Simeti non è artista che segue le indicazioni del committente, del collezionista o del gallerista di turno senza apporvi la firma della propria individuaiità. Così il lavoro viene strutturato in modo che, secondo il senso di lettura occidentale da sinistra a destra, il rosso e il verde si trovino in posizioni invertite: a precisa domanda, l'autore risponde che il verde a sinistra creerebbe una polarità troppo assorbente per la luce, mentre il rosso la restituisce subito al bianco ed entrambi allo stesso verde, che in questa disposizione trae giovamento dal duplice "rimbalzo". Di più: una delle parti del trittico - quella rossa - esisteva già prima della visita di Ferrarin a Simeti che ha dato origine a questo Incontro d'Arte. Da queste due "licenze poetiche" che Simeti s'è preso, già molto si capisce di lui. Sa ribaltare uno spunto non per il puro gusto del bastian contrario, ma seguendo una logica compositiva impeccabile, grazie a un'intuizione allenata e coerente e alla padronanza del proprio linguaggio. Sa inoltre non chiudersi in sèstesso, come capita a molti suoi colleghi una volta che la propria bibliografia raggiunge una ragguardevole lunghezza, bensì accettare gli stimoli che il mondo gli lancia, come la proposta dell'appassionato Ferrarin ma per creare del nuovo, inizia da un'opera già realizzata in un'altra occasione, non dimentica cioè il suo lavoro passato, anzi lo ricomprende e lo riconsidera tutto in quello che si accinge a pensare, da lì parte e - come tenterà di spiegare questo testo - lì, alla fine, riapproda. Rosso, bianco e verde, l'opera in questione, ben ci introduce Turi Simeti, E a pensare che, dei centocinquant'anni che essa vuole omaggiare, ben cinquanta (un terzo!) sono stati teatro dell'avventura umana e artistica del maestro siciliano, non resta che addentrarvisi senza porre in mezzo ulteriore tempo e ulteriori parole.
Ovale come misura del mondo.
Di rado si riscontra, nell'analizzare l'intero percorso di un artista, la precocità di Turi Simeti nel trovare la propria cifra espressiva: i primi ovali compaiono nel 1961, in forma di carte bruciate e assemblate in collage, e già l'anno seguente ritagliati in cartoni allineati e incollati su tela. Ancor più di rado si riscontra la tenacia e la puntigliosità con cui egli ha utilizzato questa cifra e ne ha fatto non solo il proprio modo di rapportarsi col mondo, ma anche un meccanismo proprio, da smontare e rimontare ogni volta, quasi per capire cosa ci sia davvero sotto la semplicità di questa forma, per scovarne potenzialità espressive sempre nuove. Con l'ovale Simeti ha fatto tutto: dai collage iniziali ispirati ad Alberto Burri a superfici tra il programmato e l'optical, dalle opere neo o post-spazialiste che lo hanno fatto avvicinare a Lucio Fontana alle estroflessioni protagoniste in questa mostra, dalle sculture con cui intervalla il lavoro su tela ai progetti architettonici per piazze e rondò. L'ovale è per lui unità di misura del mondo, vero geometria. Con la sua semplice enigmaticità, esso è al contempo forma e contenuto, grammatica e testo, modulo che regola e aziona non soltanto una superficie colorata ma anche molto di quanto ci circonda. Immancabilmente, a proposito della valenza di questa forma, si citano Piero della Francesca e la sua Sacra Conversazione, la pala di Brera al cui centro architettonico e in asse con la Madonna e il Bambino è posto un uovo. Ma l'uovo e l'ellisse (quella di Simeti), benché entrambi appartenenti all'insieme degli ovali, non sono equivalenti, né in campo euclideo, né nel campo delle scienze fisiche e naturali. E soprattutto in campo metafisico la differenza emerge lampante: l'uovo è simbolo della prima azione generatrice, il primo movimento rotatorio che dal Principio primo autosufficiente (la Sfera) fa espandere ciò che poi diventerà la Manifestazione; l'ellisse è invece simbolo e rappresentazione bidimensionale del momento successivo: il Centro si è ormai sdoppiato in due fuochi e la materia primordiale si espande sull'asse maggiore, allargandosi nello spazio e allo stesso tempo creandolo. E' dunque circoscrizione di spazio e spazio stesso, come le traiettorie ellittiche dei pianeti, che disegnano un luogo e allo stesso tempo lo costituiscono comprendendolo nella propria orbita. Turi Simeti adottò un simbolo così carico di valenze non dopo studi libreschi, bensì - come egli stesso sostiene - per «congenialità»: riconobbe l'ovale come sua cifra e materia, intuendone, con l'intuizione che solo un artista possiede, la versatilità e linesaursbslità.
Di forma e di materia.
Trovata presto nell'ovale la propria lingua, Simeti iniziò il suo discorso. La frequentazione, a Roma a fine anni Cinquanta, dello studio di Burri gli suggerì il tema da cui partire: la materia. Dopo i primi collage di stoffe e reti, lavorando con carta e fuoco l'ovale emerse da sé e occupò da solo la scena. Scelto l'ovale (o scelto dall'ovale?), il modo con cui esso si creava presentò al Nostro un primo spunto d'indagine: lavorare sulla sostanza costituente, per verificare se quella forma potesse valicare il confine di una determinata materia e porsi davvero come unità di misura e attrice in uno spazio dato. Oltre alla carta, l’artista di Alcamo sperimentò, con l’avvio degli anni Sessanta, anche cartone, tela e legno, che sagomava non più bruciando ma tagliando e applicando in genere su tela e talvolta su legno. Dapprima fu bianco su bianco, con tutte le valenze di azzeramento e anonimità che quel colore portava con sé proprio in quegli anni, gli anni degli "Achromes" al caolino di Piero Manzoni. La sfera d'azione di Simeti crebbe di un'altra polarità: bianco-nero, che, salvo poche eccezioni, furono gli unici colori da lui usati fino a metà decennio (in mostra figura un esempio di nero su nero, Un ovale nero, 1965). Gli ovali erano ancora disposti in verticale, da soli, in coppia o a creare ordinate file orizzontali e, in seguito, anche verticali. Dalla questione-materia alla questione-colore alla questione-composizione, si capisce come, non appena l'ovale risponde a una sollecitazione, l'artista passi senza posa a una nuova modalità di utilizzo.
Attraverso lo superficie (e parte di essa).
Nel 1965, Turi Simeti era in perfetta sintonia con quanto accadeva attorno o lui. Enzo Mari fece approdare il gruppo Nuova Tendenza, nato qualche anno prima, alla Biennale di Zagabria, e Lucio Fontana ospitò nel suo studio di Milano numerosi artisti sotto il titolo "Zero Avantgarde" (in diretto riferimento alle esperienze coeve dei Gruppo Zero in Europa), che sarebbero stati riproposti in quell'anno nelle gallerie II Punto di Torino e Il Cavallino di Venezia, in entrambe le situazioni trovavano luogo, tra gli altri, "operatori visuali" che lavoravano sul concetto di superficie come spazio solo illusoriamente bidimensionale, nel quale andavano ricercate ulteriori dimensioni e ulteriori letture, come gli stessi Fontana e Burri avevano anticipato. Turi Simeti, infatti, alla metà del decennio aveva aperto un altro livello di possibilità del proprio ovale: studiare la reazione della superficie a questa forma-oggetto che, dopo essere stata incollata o applicata sopra essa, ambiva a penetrarla ed esserne inglobata. Da qui venne anche la definizione di "pittura oggettuale" (tra l'altro titolo di una mostra del 1967), anche se per l'artista siciliano l'interesse non era (e non è) l'oggetto-ovale bensì le vibrazioni cui esso dà ovvio a ogni nuova direzione di ricerca. Fatto sta che l'ovale, da quegli anni in poi, si presentò come compiuta forma, avendo l'artista ormai sublimato e assimilato i problemi della materialità, del colore e della composizione. Il segno diventava tutt'uno con la superficie (risultato cui molti coevi ambivano e che solo alcuni avrebbero raggiunto), tant'è vero che - non ingannino i titoli - da allora nelle didascalie di Simeti comparve la tecnica "acrilico su tela estroflessa" e non più "cartone/tela/gomma/tela su tela". La superficie aveva accolto e accettato l'ovale come parte di sé, quasi riconoscendolo come elemento grammaticale del medesimo linguaggio, prima in rilievo, poi in negativo, poi in estroflessioni più accentuate, comprendenti talvolta parti in negativo, a dimostrazione di una perizia tecnica in costante raffinamento.
Tesa la tela, la tensione continua.
Non ripercorrendo pedissequamente, in questo testo, una cronologia biografica per descrivere l'evoluzione dell'arte di Simeti. vale la pena affrontare adesso una questione che se posta in fondo potrebbe risultare legata solo all'opera sua più recente, o meno importante di quello che in effetti è. In diverse foto dell'artista al lavoro, lo si vede con le mani sopra gli ovali, già inglobati nella tela o ancora in fase di taglio o di sistemazione sul telaio. Non è certo un segreto il procedimento con cui nascono le estroflessioni (per spiegarlo una volta per tutte, lo stesso maestro ha creato, nel 1997, una scultura in bronzo che ha con ironia battezzato ufficiosamente Monumento all'ovale): si inchioda un numero variabile di ovali di legno su assi montati dietro al vero e proprio telaio; la tela viene incollata all'ovale, poi tirata, infine coperta dal colore. E' un procedimento che necessita di un forte coinvolgimento fisico, oltreché di attitudini scultoree e architettoniche. In queste immagini, ma anche a chi visiti l'artista nel suo studio, il legame tattile e sensibile tra l'opera e il suo creatore emerge chiaro: la superficie ha accolto l'ovale ma, benché diventata un unico spazio, non risulta in pace bensì in continua tensione e non smette di attrarre a sé, come una calamita che, dopo aver attratto un primo ferro, non smette di esercitare la propria forza magnetica su quanto la circonda. Ciò spiega anche gli "sconfinamenti" verso altre forme geometriche - quadrato, rettangolo e soprattutto tondo -, preziosi unicum (come il qui presente Quadrato su quadrato, 1972) in cui Simeti mette alla prova questa forza insita nella superficie, reclamando al contempo il proprio status di artista (e uomo) coerente ma libero da feticismi per una determinata forma o un determinato linguaggio. Le sculture (a Legnago ne è esposta una in argento del 2009), o gli oggetti di design (come le lampade o i gioielli) in cui si è cimentato nei decenni sono la conferma sia di questa libertà, sia della volontà di creare uno spazio di tensione, che eserciti il proprio magnetismo appeso alla parete, al centro di una sala o, come si dirà ora, di una piazza.
Ridefinire uno spazio.
Turi Simeti è consapevole della forza di attrazione che le sue opere esercitano su quanto le circonda, perché egli stesso, come detto sopra, ne appare costantemente attratto. Questa qualità, attivata perfezionando attraverso decenni di lavoro il rapporto tra forma e superficie, agisce anche fuori dalle quattro mura della galleria o del museo: nel 1980 collocò a Gibellina una scultura composta da una lastra di travertino delle dimensioni di 250 x 250 x 40 cm dall'interno della quale emerge un ovale. Ma l'osservatore attento non avrà certo dovuto attendere Gibellina per ammettere le potenzialità spaziali delle opere di Simeti: gli sarà forse bastato constatare come già negli anni Sessanta l'artista di Alcamo pensasse e collocasse sul pavimento, in posizione orizzontale, lavori su tela e telaio del tutto simili a quelli appesi a parete (Quadro scultura in tela sagomata bianca, 1968). Proprio per la sua città natale, nel 2007, Simeti pensò inoltre a un'istallazione di tre ovali che arricchisse e completasse il piazzale antistante il Castello dei Conti di Modica, ma ancora più eclatanti sono i progetti (anch'essi poi rimasti sulla carta) per un rondò ad Alessandria e per una piazza sul mare a Mazara del Vallo. Il primo, del 1998, consiste in una grande scultura orizzontale in cemento bianco con tre ovali, la quale, se per gli amministratori avrebbe avuto un'ovvia funzione di regolazione del traffico e di generale abbellimento dell'arredo urbano, presentava con chiarezza la capacità attrattiva, non solo dei veicoli, ma anche di eventuali pedoni che avrebbero potuto fruirla entrandovi e calpestandola. Questa intenzione fu ripresa e perfezionata da Simeti nel progetto per la piazza di Mazara, nel 2007, da dedicare ai marinai scomparsi in mare: la porzione della banchina che più sporge verso il mare venne pensata come una gigantesca (25 x 30 m) scultura in calcestruzzo a cinque ovali; essa avrebbe da un lato ottemperato all'intento della committenza di ricordare i naufraghi, dall'altro avrebbe anche in questo caso calamitato lo spettatore, invitandolo a entrare nell'opera, così come un progetto architettonico di piazza dovrebbe sempre invitarci, e come le tele appese al muro di Turi Simeti ci invitano.
Libertà di luce.
Attraverso le origini degli ovali e l'analisi della loro capacità di lavorare e farsi lavorare dalla luce e di mettere in tensione lo spazio circostante, questo percorso, iniziato dalla simpatica sfida di Giorgio Ferrarin per la mostra di Legnago, alla mostra di Legnago in conclusione ritorna. In quest'occasione sono esposti per lo più lavori recenti (quasi tutti degli anni Duemila), in cui l'ovale appare libero di interpretare la superficie. In realtà, esso è controllato con fermezza dal suo creatore, che lo amministra e lo fa agire secondo la propria volontà e tramite la propria tecnica. Così, a ben guardare, lo spettatore si troverà di fronte a opere distinte tra loro. Un ovale blu del 1985 rappresenta una serie di lavori (caratteristica dei decenni Settanta e Ottanta) in cui un'unica forma di dimensioni ridotte muove una tela verticale da una posizione quasi centrale. Due ovali contrapposti (1994) testimonia l'analisi, approfondita a partire dagli anni Novanta, della capacità di più forme non solo di occupare lo spazio in file ordinate ma anche di dialogare tra loro, "faccia a faccia" in questo caso o anche nei Sei ovali bianchi (1994) e - con un ulteriore scatto compositivo - negli Otto ovali con linea intermedia (2009) e nella Superficie orizzontale blu con sei ovali (2009), oppure in equilibrate polifonie come i sei Tondi con ovali (2001), composizione la cui agile narrazione in una cadenza quasi solenne può suscitare nella mente di chi osserva echi di una classicità da fregio di tempio greco, di cui la terra natale dei Nostro è così ricca. Quest'ultimo polittico e il Dittico rosso (2009) campìonano le sperimentazioni, avviate già negli anni Sessanta, su opere composte da più telai, in cui il numero degli ovali rimane costante (come anche nel già citato e inedito Bianco, rosso e verde) suggerendo una biunivocità del senso di lettura, mentre nel Trittico nero (2001) l'aumentare delle forme indirizza più precisamente, ma sempre con dolcezza, l'occhio dello spettatore. Infine, in Quattro ovali pendenti (2007), Due ovali metallizzati (2009) e Tre ovali neri (2010) al posto della tela è usato il ciré, tessuto che Turi Simeti adopera dagli anni Sessanta. Meno adatto a essere incollato, esso gli aprì da subito un importante filone di ricerca: appoggiandosi ed evidenziando i contorni degli ovali invece di aderirvi per intero, il ciré denotò come la forma era talmente capace di movimenti rotatori sui propri assi, talmente assimilata alla superficie da bastarle, per mettere questa in moto, un bordo o anche un segno - e qui la mente va ai precoci "segni" neri e grigi dei primi anni Settanta, in cui basta un filo di luce e un accenno di traiettoria per dire tutto. Non pago di questa scoperta, nel tempo Simeti ha poi perfezionato le "progressioni", riportandole anche su tela (come i qui presenti Quattro ovali neri in progressione, 2009). L'incidenza della composizione materica della superficie, da cui era partito a fine anni Cinquanta, non è dunque mai calata e nel lungo e circolare percorso artistico sono tornati a più riprese anche i collage, come i Tre ovali marroni applicati del 2007.
Discorso sul silenzio.
In un'intervista del 1988, Turi Simeti dichiarò che nelle sue opere «lo spazio, anzi il silenzio dello spazio proposto, è un'ipotesi di perfezione proiettata al di là dell'opera». Il silenzio è una caratteristica del suo lavoro; in silenzio gli ovali tendono la tela e muovono lo spazio, in silenzio lo spettatore si immerge nei suoi lavori, in silenzio l'artista ha tenacemente percorso la propria strada, senza badare a rumori di disturbo che provenivano dal mondo dell'arte, girando instancabile nazioni e continenti e trovando all'estero prima ancora che in Italia un giusto riconoscimento. Il silenzio fu il movente della performance, solo apparentemente svincolata dal resto della sua carriera, della Galleria La Bertesca di Genova nel 1971 : colpito dall'aliante, velivolo senza motore che percorre lo spazio appoggiandosi sull'aria, Simeti ne trovò e acquistò uno, lo dipinse di blu e in una serata lo distrusse a martellate, per poi rinchiuderne i rottami in dodici bidoni di metallo. Ci sono vari modi di essere coerenti. Per esempio, c'è la coerenza di chi ripete metodicamente la stessa opera, o la coer