Carla Accardi: Studio Accardi, Carla e gli amici.
Testo critico a cura di Angelo Capasso.
A come Amicizia.
La porta aperta è un segno. E' il segno dì un accesso possibile, di un passaggio libero e fluido. Le porte aperte tessono il dialogo tra il segreto della vita intima e il caos del mondo esterno. Le abitazioni al Sud, in passato, erano conosciute per le loro porte mai chiuse ermeticamente, disponibili a aprirsi ad una mano non famigliare. Fragili, dalle vetrate generose con le maniglie leggere sopra la pìccola toppa che s'apriva ad una sola mandata, le porte al sud erano aperte all'incontro con l'altro. Lo ricorda Sciascia, nel romanzo, “Porte aperte”, ambientato a Palermo nel '37, quando il “dormire con le porte aperte” voleva essere una metafora dell'ordine e della sicurezza garantiti dal regime, mentre “le vere porte aperte della città erano quelle che soltanto l'amicizia apriva” e “aperte sicuramente restavano le porte della follia”. La consistenza e l'affidabilità strutturale della porta di casa è il termometro che misura la trasformazione delle relazioni interpersonali. Le porte blindate, negli anni ottanta diffusissime anche nelle abitazioni meno lussuose, hanno racchiuso l'intimità segreta dietro il non plus ultra della sicurezza, in una sorta di autocarcerazione preventiva scelta deliberatamente per chiudersi dal dì dentro, incarnando la minaccia metafisica propria del mondo contadino nella paura dell'altro: il timore di un'effrazione sempre possibile. Questo stato d’assedio della vita privata dimostra il dissolversi di una sostanza umana. La sua naturale predisposizione all'apertura. L'amicizia è la relazione che soggiace alle porte aperte, è la predisposizione umana al vivere sociale, l'espressione del senso della pluralità, dell'accoglienza, dello scambio. A differenza dell'amore, dove Eros impone il due che si attrae e s'identifica nell'uno, l'amicizia si apre nel molteplice scambio che non conosce limiti: s'identifica nel gesto della mano che stringe, prende e scambia senza chiudere il pugno; della parola che dice senza incidere, accarezza e sorvola. Quale dei nostri sensi è il senso dell'amicizia? Forse nessuno, l'amicizia non è nei sensi. Non nel tatto, né nel gusto. Appartiene allo sguardo. E' un dialogo tra parole e sguardi, e soprattutto di quest'ultimo quando guardare è un atto che scende nel fondo col pensiero e delimita il mondo attraverso le sue pareti di immagini senza fondo. Così è l'arte. L’arte è una costruzione di pareti-mobili, labili, trasparenti- che dialogano ed aprono al dialogo. Le pareti e le porte dell’arte sono accessi e confini senza fine, aperti e chiusi, delimitati soltanto dalla capacità dello spazio ad aderirvi, e di darne forma. L’arte, come l'amicizia, è una minaccia concreta ad ogni forma di chiusura. Lo è l’amicizia, nel suo porsi a-sensuale attraverso la seduzione del dire, della sola parola e delle verità del quotidiano ch'essa può contenere, come materiale mentale e sentimentale, aperta agli inganni (senti, mento) che rivelano la totale generosità e la trasgressività dell'essere un sentimento senza fine e senza scopo. Così come l'arte, in quanto anch'essa interpreta il più recondito dei pensieri e sfida gli spazi fino all'ultima possibile resistenza. Cosa può resistere alla fragilità di un sentimento generoso e gratuito come quello di chi costruisce immagini o scambia se stesso con l'altro, fonde e confonde ipotesi, anche le più remote?
Qual è il desiderio che stringe l'amicizia? E' il desiderio della molteplicità, della pluralità, della complessità, della totalità. A differenza dell'amare, verbo transitivo, l'amicizia non è nel verbo ma nel sostantivo indicativo del transito, del transeunte, della capacità di attraversare le porte. La disponibilità ad aprirle. Nel dialogo sull'amicizia, Platone, per bocca di Socrate, dichiara che l'amicizia non può avvenire se non tra i buoni; per quanto i malvagi possano allacciare relazioni di reciproco interesse, queste ultime non potranno mai
annoverarsi nella categoria dell'amicizia sincera. Per definire l'amicizia Platone usa il termine philia, che si distingue in modo netto dall'eros. Benché la philia, nel suo senso greco, implichi un' intimità che arriva al contatto fisico - philema in greco vuol dire “bacio” - essa resta ben diversa dalla mania erotica. Mentre l'eros, nella sua essenza, conserva una connotazione di travolgente passione, allude ad una forza di scatenamento difficilmente governabile, l'amicizia appartiene alla sfera del logos. Implica il contatto e l'intimità, ma non la compenetrazione dell'amore. L'amicizia per Platone sì lega tra coloro che trovano nell'altro dei segni affini; l'uno trova completamento nell'altro, anche se temporaneamente. L'amicizia è un sentimento superiore a quello della fratellanza, in quanto, se in nome della fratellanza si uccide, in nome dell'amicizia ci si mantiene in equilibri precari, dettati dalla temporanea complementarietà dei fattori che la compongono, deliberatamente disponili al più profondo dei confronti, libero soprattutto dall'erotismo mortale che ne destinerebbe la morte: né Edipo, né Caino e Abele sono collocabili sotto l'ombrello dell'amicizia. L'arte anch'essa ha questa come sua peculiarità. Non si possiede, se non attraverso lo sguardo. Non la si ama se non nella sua distanza e inaccessibilità necessaria e salvifica. E' eterna l'arte, proprio perché libera dalla conflazione di eros/thanatos che strabocca in ogni passione. La pittura di Carla Accardi è una pittura dell'amicizia: si esemplifica nel gesto libero della mano che viaggia a filo d'acqua sul supporto e regala allo sguardo una carezza d'incoraggiamento su cui fondare la propria personale conversazione con l’arte e con la storia dell'arte (chiamando al dialogo esperienze affini a quella stessa libertà quali le Compenetrazioni iridescenti del Balla futurista e la gioia del colore di Matisse, l'artista che ha inteso il quadro come una costruzione di colore-luce). Le opere di Carla, ricercando una relazione interpersonale con l’astante, generano una relazione d'amicizia con lo sguardo che non è mai pago della possibilità di comprenderle, ovvero di interrompere con queste un dialogo conviviale. Ogni segno si propone come l'elemento strutturale di una lingua che non ha un lessico e una grammatica predefinita, né un progetto unico espressivo, quindi potenzialmente universale. Ogni opera parla allo sguardo così come i fiori di un prato. La pittura di Carla Accardi implica il contatto e l'intimità, ma non la compenetrazione dell'amore. Colpisce ma non travolge, assimila ma non possiede. Non è traducibile nel linguaggio del possesso e dell'appropriazione - si libera dalla carnalità della figura e quindi inventa l'altro attraverso una eco della sua figura: un'immagine della memoria dello sguardo che registra solo movimento e fluttuazioni. La pittura astratta lascia il mondo com'è, ne custodisce l'essenza e la trasmuta in un'esperienza per la fantasia.
A come Artisti.
Il segno è una cifra o un'impronta da interpretare liberamente. Le grafie che si distendono liberamente sulle opere di Carla Accardi sono un segno della sua personalità libera e aperta. Sono la dichiarazione perentoria di un'imprescindibile apertura verso il mondo. Le sue opere propongono una via all'amicizia vìssuta attraverso il segno. L’amicizia, del resto, è un elemento sostanziale del sodalizio che nasce in modo naturale tra gli artisti, i critici d’arte, i galleristi e tutti gli operatori di questo mondo a sé. E' stata la forza centrifuga con cui le avanguardie si sono slanciate nelle loro esperienze comuni. Grazie all'arte, il senso politico di ogni Manifesto ideologico si è trasformato in teoria estetica, per quel sottinteso cruciale che qualifica ogni battaglia estetica come una battaglia fatta in nome e per conto dell’arte. In arte si distrugge per consolidare. Ogni azione bellica è tesa a cancellare pareti e di confini ideali che lasciano spazio a nuove pareti e confini senza fine. I caffè letterari sono tradizionalmente i luoghi in cui si è consumato l’incontro e l'amicizia tra poeti, scrittori e artisti. In Italia, l'esperienza prolifica dei caffè parigini della fine dell'ottocento ha avuto analoghi in città diverse. Quali il Caffè di Piazza Vittorio, a Firenze, “Le Giubbe Rosse” dove si sono incontrati Papini, Prezzolini, Cecchi (protagonisti delle riviste fiorentine), Ardengo Soffici, ma anche Lenin il profeta indiano Kundan Lall, Oscar Wilde. A Roma, tra la fine del 1918 e il giugno 1921, è attiva la Casa d'Arte Bragaglia - composta da quattro camere, un salone e un corridoio - in via Condotti 21, sostenuta dallo studio fotografico dei fratelli Bragaglia (dal 1922 la Casa d'Arte si trasferisce nelle cantine di Palazzo Tittoni in via Rasella, che comprendono anche i locali delle Terme di Settimio Severo). Nel dopoguerra la scena sociale dell'arte si svolge attorno a Piazza del Popolo, tra il caffè Rosati, il caffè Notegen ed altre gallerie lì attorno. Tra Rosati e il Notegen, nel crocevia che congiunge via del Babuino e Piazza del Popolo, dalla metà degli anni cinquanta si colloca lo Studio di Carla Accardi. Carla, ha vìssuto al centro della scena artistica (termine estendibile a tutto campo, fino ad includere la poesia, la musica, il teatro) e sociale dell'arte, sin dai suoi primi incontri con gli artisti di Forma 1. Soprattutto in seguito, nella Roma degli anni sessanta e settanta, tra le battaglie femministe con le attiviste nell'arte e in politica, tra cui Carla Lonzi, ed una innumerevole schiera di amici appartenenti trasversalmente ad ogni ramo della cultura, che si sono incontrati nel suo Studio, Carla ha modulato la propria esperienza d’artista nell’ambito della vita sociale. Col trascorre degli anni il lavoro allo Studio Accardi ha dilatato le onde delle opere segniche in una eco di discorsi sull'arte aperti all'ascolto di generazioni diverse. I giovani artisti che hanno collaborato allo Studio Accardi hanno avuto la possibilità di confrontarsi con un senso di amicizia diverso, quello che apparteneva alle avanguardie prima che queste si trasformassero in avanguardie individuali, personalistiche e solitarie. Le ultimìssime generazioni di artisti che hanno lavorato allo Studio Accardi ed hanno condiviso quel contesto di amicizia includono un numero di nomi che attraversa il pensiero più avanzato della cultura visiva e letteraria corrente. Si tratta di personalità molto diverse che propongono una dilatazione di quel sentimento di amicizia in modo personale, a volte in modo istrionico e slanciato, in altri casi in modo riservato e discreto. Eccone i nomi.
Francesco Impellizzeri, noto nel mondo dell’arte per il suo grande appeal performativo, per le sue lunghe peregrinazioni nella teatralità del gesto artistico, incarnato in figure sociali e figure del mito storico o della fantasia. Impellizzeri, dal canto suo ha condiviso una lunga amicizia che ha già preso forma in una mostra di opere. In quella occasione originale, Impellizzeri ha assorbito all’interno della propria genealogia di ruoli sociali lo scambio didattico tra “maestro e allievo” che assurge naturalmente in questo scambio intergenerazionale, identificandolo in un luogo dell’arte tradizionale che chiamiamo convenzionalmente l'idolo (dal greco eidolon, immagine, voce simile a eidos, “'aspetto”, “figura”, da eido, “vedo”, in quanto nell'idolo vediamo in qualche modo la cosa di cui esso è l'immagine). L'idolo è l' “immagine scolpita che rappresenta una persona o una forma della natura personificata e riguardata come divinità”. L’idolo, con Impellizzeri, trova nuove figure nella società corrente ed incarna quella “sospensione consapevole dell'incredulità” (W. T. Coleridge) che ci aiuta ad entrare all'interno della verità teatrale, nella mascherata popolare, nello scambio dei ruoli. Tra Francesco e Carla, la relazione tra “maestro e allievo” è senza autorità, così come Carla insegnava alle sue bambine negli anni in cui lei stessa era insegnante di Scuola (rimossa da quell'incarico per la protesta delle mamme!), ma per autorevolezza, l'autorevolezza dell’arte. Laura Palmieri è uno spirito impegnato nella vita civile e nell’arte molto affine al carattere di Carla. Da anni lavora con la pittura (ma anche con l'installazione) con una sua strategia fortemente personale che identifica l'immagine attraverso il suo ingombro ontologico, ovvero come se fosse una scultura bidimensionale all'interno di una lastra di colore. Nelle opere di Laura Palmieri l'immagine si presenta come una incisione concettuale che scandisce lo spazio e il colore, tra vuoti e pieni, lasciando respirare il supporto nell'intensità di un luogo che va oltre l'immagine, nelle sue fessure concettuali al di fuori dello spazio tempo, dove ogni contenuto assume forma strutturale e al contempo ideologica, Laura Palmieri dipinge con il pensiero prima che con la mano. Sceglie il supporto fotografico, come base di lavoro, per liberarsi dalla figura già nel momento stesso in cui sceglie di condividerne i destini. Ogni immagine delle sue opere si presenta e scompare, per lasciare spazio alla sua struttura mentale. E' un senso di amicizia del tutto particolare quello che si dilata da questa strategia visiva, che ricorda un altro nome dell'arte di Roma e di Piazza del Popolo, con cui Laura ha lavorato negli anni: Mario Schifano.
Il pensiero di lungo corso, ovvero quella linea concettuale dell'operare nell'arte propria della scena corrente, si ritrova anche nelle opere di Valerio Aschi, dove gli oggetti si presentano per il loro implicito senso politico, come cose che automaticamente implicano un dire e un fare standard che l'artista scinde attraverso ingigantimenti e paradossi del senso, moltiplicando il valore delle parole non in termini quantitativi, ma nella possibilità che queste prolifichino in termini qualitativi, scambiandosi nel senso. Fabio Alecci è invece un artista-designer (con lo Studio Alecci e Di Paola) che opera all'interno della migliore tradizione della fabbrica paradossale surrealista, con oggetti e forme che si animano e s’appropriano dello spazio con delicatezza e discrezione. Un surrealtà del riciclo, o meglio un design di recupero, che restaura, gli oggetti riconvertendoli in usi nuovi. E poi, Jacopo De Bertoldi, videomaker all'impronta, autore di uno dei rarissimi documenti video di Gino De Dominicis capace di tenere in vita l'ironia del Gino nazionale, fantasma e icona dell'assenza. Gianluca Serracchiani poeta alato, artigiano della parola lirica, capace di capovolte rapidissime del senso. E poi, in questa bottega dei sentimenti, dei pensieri, degli amori e degli ideali, perché non ricordare Magda Roveri restauratrice dal tocco fino, prediletta dalla Accardi perché in grado di sciogliere la luce dei suoi quadri dalle compressioni del tempo?
Grandi ispiratori e sostenitori di questo circolo di amici che lega le generazioni, sono certamente Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier, i quali, dai primi anni ottanta ad oggi, hanno intrattenuto un lungo rapporto con Carla Accardi ed hanno studiato formule di presentazione dell'arte che ne mantenessero viva la sua genia transgenerazionale, transmediale e transfrontaliera (come nel caso dell'ultimo laboratorio dedicato al suono e alla sua libertà nello spazio visivo denominato RAM, radioartemobile). La storia di Mario e Dora si radica proprio in questa relazione amicale con gli artisti, Una relazione che va oltre il principio della galleria intesa come spazio commerciale, ma dello “spazio per l'arte” come laboratorio aperto allo studio di ogni possibile articolazione delle dinamiche interpersonali dell'arte e quindi nella sua declinazione sia culturale, che economica e sociale. Personalmente, intendo sentirmi anch'io parte di questo gruppo di amici che circolano lìberamente nelle stanze dello Studio Accardi, tra le tele, i libri, le parole dette e da dire, in questo (con)testo mi pongo come narratore (pseudo) onnisciente dell'amicizia, dell'arte e dello Studio, di cui so tutto e niente attraverso i racconti orali, così come capita in tutte le grandi tradizioni conviviali. Qui s’incontra una fauna di artisti e amici con la A maiuscola, che Carla sollecita al dialogo in sedute (o chiacchierate in piedi) che ricordano, con dovuta distanza, i collettivi di “autocoscienza” della rivoluzione sessantottina in una loro reinterpretazione libera, ironica, divertita, all’ora dell’aperitivo, non per una moda da salotto, ma perché l’aperitivo, in quanto tale apre e lascia fluire la vita, e l'arte, a “porte aperte”.