Ennio Finzi - L'esaurirsi è sempre un principio - Breve antologia critica
Ennio Finzi: L'esaurirsi è sempre un principio.
BREVE ANTOLOGIA CRITICA
Mi propongo dire alcune cose molto semplici su questo giovane pittore, sperando di pigliarlo a verso: il ché significa non dire cose inutili. Corre il giudizio che la pittura del Finzi sia antipittura e che egli stesso sia l'antipittura in persona. Vero è che qualche volta egli si esprime in modo strabiliante per chi prenda le parole alla lettera; gli avviene nei rari momenti di svagate apprensioni dire per esempio: io non credo alla pittura!, o così o con altre parole esprime lo stesso malessere. Ho il sospetto che questo malessere sia una grande nausea: deve essere preso il Finzi da tale nausea per la strabiliante (questa volta sì!) fioritura di pratici talenti, di ambigua ricchezza, che producono pittura, di fronte alla quale egli pone I'antipittura [...]. La pittura del Finzi è semplice e vasta e senza confini. Presa tra le maggiori o le minori ha sempre in sé, motore unico, una grande ansietà d'apertura. E qui è, forse, il volto vitale del tempo che di determinato può avere solo questa ansia in gara dì velocità con il tempo. L'ansia è una azione dello spirito, e da questa azione, una forma, qualunque essa sia, non sarà mai il prodotto di un autore o di una società di autori, o di circoli estetici, ma il prodotto di un uomo, Il colore protagonista evidente ritrova, nella pittura del Finzi, una nuova armonia dopo aver negata ogni armonia scolastica e, mai è, quella fisicità cromatica urtante da ribelli ignoranti. La sua elaborazione che qualche volta appare precipitosa è, forse, per evitare l'incastro nell'artificio. Altro malanno questo che toglie alla volontà e dà al caso il risultato. Infatti vedi spesso e ovunque opere che potrebbero essere rimosse qua e là senza pregiudizio alcuno. Quelle del Finzi, sono quelle che sono, e se anche in apparenza immediate, non si possono rimuovere.
Virgilio Guidi, Ennio Finzi, 1957.
Il giovane Ennio Finzi ha dietro di sé una tale somma di prove e di affermazioni che bastano a far capire la insoddisfatta curiosità del suo spirito, la proteiforme ricerca di un domani, in cui egli per primo si meraviglierà di riconoscere se stesso. I colori obbediscono alle leggi antiche delle simpatie e dei contrasti; ma soltanto per vivere nella luce di un attimo, nella verità di una intuizione subito distrutta dal suo contrario. La natura non è più contemplata con un abbandono romantico: torna a farsi immaginare attraverso la conoscenza scientifica, in una tessitura esatta, quasi meccanica, come nei diagrammi tracciati dalla punta di uno strumento estremamente sensibile. I fondi opachi, di una tinta unita, rappresentano un vuoto illimitato dal quale emergono forme incandescenti, spettri luminosi, vibrazioni elettriche, al di là di ogni convenzione figurativa. La polemica di Finzi, se è lecito usar questa parola, non è rivolta contro obiettivi determinati: è piuttosto un'azione stimolatrice provocata dall'intelligenza, quando il pittore si accorge d'insìstere sul risultato acquisito. La discontinuità dell'esperienza riproduce il moto assurdo della vita del cosmo. Questa è l'unica giustificazione possibile alla rottura dell'effimero equilibrio di ieri. Infatti all'ordine meccanico degli effetti spettroscopici, Finzi, nelle più recenti pitture, oppone l'azzardo di nuclei informi lanciati secondo traiettorie previste sui piani gialli o rossi, di un valore che tocca l'intensità delle vivide combustioni. Sono le meteore-sìmboli dell'instabilità, come condizione di uno spirito, che crede soltanto ai propri dubbi e che attende sempre la conquista di una meravigliosa scoperta per poterla immediatamente distruggere e per tornare così al rischio del rifiuto delle verità pittoriche raggiunte e definite[...].
Giuseppe Marchiori, Ennio Fìnzi, presentazione alla mostra personale presso la Galleria Apollinaire, Milano 1958.
[...] Ora, per entro un'esperienza conforme ad un disegno che interessi in maniera precipua la visualità pura, Ennio Finzi può tranquillamente menare vanto d'essere in Italia una delle presenze più anziane per stato dì servizio, e delle meno compromesse con precedenti divagazioni così com'è tra le più fedeli ad un ordine dì stretta osservanza pittorica. Perquesto egli va annoverato fra quei sintomi forieri che importa siano ricordati e di cui s'è parlato in apertura del presente scritto, svolto poi con sommari accenni a quel clima ideatìvo che gli è peculiare e si propone inoltre quale il meno esposto a rapida usura per intromissioni soggettivistiche o facilonerie di censura, verso le quali parte non proprio irrilevante della produzione artistica odierna mostra ancora una propensione spesso efficiente, almeno fino ad un certo punto. [...] Quando Finzi, tra il 1352 ed il 1953, creava i suoi ritmi di luce oppure le sue figure cromatiche (verde su rosso, rosso su verde) vigeva ancora, e con insospettata autorità, il programma dell'astratto-concreto o dell'astrattismo lirico, mentre gli annunci dell'informale si facevano via via più frequenti. Allora le ricerche di indole costruttivista o percettiva non riscuotevano particolare interesse e passavano per lo più inosservate. Finzi si trovava perciò nel più staccato isolamento e l'esperienza che andava compiendo richiedeva tanto maggiore tenacia [...].
Umbro Apollonio, Finzi, 1969.
[...] I primi effettivi suggerimenti gli provenivano non tanto da una cultura figurativa, sia pure d'avanguardia, bensì dalle nuove esperienze dei linguaggi musicali contemporanei, cui già da allora egli guardava, seguendone gli sviluppi, come a una diretta analogia di orientamenti e di significati, sia strumentali che espressivi, in riflesso a una pratica artistica che, anche nel suo esempio, rinunciava a qualsiasi carattere di rappresentabilità. E invero alcuni modi più tipici di quelle forme musicali: i sistemi seriali, l'atonalismo, ma pure i medesimi valori di altezza e frequenza del suono, le strutture armoniche, le combinazioni di assonanza e dissonanza, le asimmetrie e le interazioni timbriche èe ritmiche fino alla gestualità sonora nelle sue manifestazioni più aleatorie, erano, per lui, spunti e metodi precisi che traslati in un diverso materiale espressivo gli schiudevano un orizzonte imprevisto al problema della definizione spaziale e della strutturazione percettiva. [...] Questo riscontro prevalentemente sintattico sarà certamente presente nelle sue prime opere ed è ugualmente avvertibile per l'interpretazione che, più tardi, vari critici avanzeranno, concordemente, sulla natura di questi risultati, di quelle prove di una indagine estetica, certo insolita, ma ricca, comunque, di precorrimenti anche nelle sue proposizioni meno persuasive e raggiunte. Dunque per tale concezione artistica, sarà la stessa percezione a determinarsi entro il processo, fisico e concettuale, dell'immagine, a inglobarsi nel fenomeno operativo dell'arte che, specificamente, dà allo spazio e al tempo quella concretezza di assoluto evento visuale, e, alle forme del proprio linguaggio, un significato pregnante e spiritualmente irripetibile. Di questa pittura il «primum» è il colore, la luce, articolati, modulati come figure e sostanze di uno spazio che è campo di forze interagenti, simboli oggettuali della realtà percettiva ed esistenziale. Tuttavia l'interesse di riportare e valutare i valori cromatici alla loro fenomenologia non mirerà a conseguire un ordine visivo di presenze formali assolute quanto a rilevare le possibilità logiche e creative nella formatività della luce e del colore in un campo appunto specifico dell'attuale problematica percettiva. [...]
Toni Toniato, Finzi, 1969.
[...] La recente pittura di Finzi, attraverso lo sviluppo degli ultimi anni di ricerca, si sostanzia in una problematica della decostruzione lineare per espansione ottico-vibratoria. Ne risultano reticoli geometricamente determinati, in condizioni di elasticità virtuale del raccordo di concatenazione ortogonale o di semplici allineamenti perpendicolari a segmenti di retta, dove il colore si sottintende per ampiezza vibratoria proporzionale all'equidistanza o al grado di torsione del tracciato lineare. Sono equazioni di propagazione luminosa, progressivamente saturanti, visualmente tensibili per intermittenza percettiva. In questo ambito la struttura del campo ottico promosso da Finzi si dicotomizza in segmenti epifanici dove l'energia può ripartirsi a intervalli cadenzati costituiti da un massimo centrale di illuminazione cromescente periferizzata da contorni gradatamente indefiniti, virtualmente interferenti per espansione visiva. La transizione dall'oscurità verso la luce diventa la qualità temporale di un progredire matematico a posteriori dove la presenza di frange diffratte, nelle zone illuminate, si costituisce spettacolo del colore-atmosfera metabolica. Per frammentare l'evento luminoso del colore Finzi si avvale di un sistema di decrescenze segmentali che condizionano, in termini metaformali, un siderale itinerario ottico, inedito nella misura della propria tipicità. Con Finzi la forma-luce può dunque diventare luce formata nel colore interlineato: cromolucisione degli intervalli translineari. I transmodulatori ultralineari di Finzi promuovono inimmaginabili atmosfere cromatiche senza determinare condizioni retiniche irrecettive, senza istigare perturbazioni psicologiche, epurati da ogni modalità di aggressione visiva, diretta o indiretta, come sembra esiga il consumismo culturale dei sottoboschi 'op'. [...] Finzi è, oggi, in grado di dirci qualcosa di decisivo nell'ambito dell'affermazione dì valori che abbiamo evidenziato e difeso. La posizione della sua ricerca ha, certamente, depassato le angustie in cui si esauriva il primo sperimentalismo italiano della cinevisualità plastica per inaugurare le premesse, sintomatiche e pertinenti, di un nuovo linguaggio della cromovisuaiità decostruita [...].
Carlo Belloli, 30 situazioni transcromatiche: Ennio Finzi, 1972.
[...] E iI "gesto“ pittorico - ricco del postulato di libertà fontaniano - unito all' estremizzazione cromatica quanto all' analìtica lucidità del presiedere esistenzialmente l'atto creativo, hanno accompagnato iI percorso di Finzi, conducendolo in sconfinamenti, e territori altissimi, poeticamente controversi. Tutto questo senza mai far venir meno una intelligente e paradossalmente libera costrizione: il dipingere per estremo amore della musicalità pittorica, della composizione come campo d'analisi, richiesta, riscontro. Non un cedimento quindi o un assestamento definitivo nel suo percorso, non una "serie" di opere ripetute, ribadite, ma costantemente la ricerca di questa "serena dannazione" del dipingere, oltre il limite invalicabile del campo tradizionale della pittura. [...) Variazioni sulla pittura, queste carte ripropongono il magistrale ed infinito affiorare del "suono pittorico" nella sua libertà, presentando il foglio di carta come un "non Luogo " sognato. In uno spazio rinnovato l'artista si può permettere di evocare un suono, stimolare una fonte di luce, "affogare" un segno tramite la materia, librare una traccia nero come una stoccata di fiamma. Sono infatti queste "variazioni libere" che si rincorrono e richiamano in un contrappunto paradossalmente privo di schemi metrici e legato soltanto dallo sperimentare la pittura come territorio sterminato. E' qui che si pacifica e rinasce l'ardore gestuale degli anni “pittorici", non come quiete, ma come continuità attuale. L'innovazione Anziana del linguaggio si trova e ritrova in un gesto, in un annullamento, in una evocata traccia cromatica emersa dallo spazio della materia divenuta lacerata esplosione della luce sonora. [...] Nella freschezza emotiva delle carte l'artista conduce il suo agire, crea un campo-spazio apparentemente monocromo che invece si rivela come un suono ininterrotto del colore il quale dialoga d'improvviso, come con lentezza e sapienza, con l'apparizione dei timbri, dei suoni. Per quanto sentita sia l'azione dell' artista sulla materia, per quanto laboriosa, pur nella gestualità, sia la creazione, in questi fogli egli delega alla percezione il suo comporre, il ritrovare un agognato "canto sommerso" [...].
Luca Massimo Barbero, Ennio Finzi. I Versi del colore, 1997.
La mia prima attrazione per il lavoro di Finzi riguarda il suo ciclo di dipinti che s'intitola "Ritmi vibrazione", svolto fra 1953 e '55, di cui "Ritmi di luce", che data al 1956 e '57, è una proposta consequenziale, e che sembra costituire la base sulla quale poi, all'esordio degli anni Sessanta, si configurano le tele del nuovo ciclo "Struttura vibrazione", con il quale il pittore veneziano sembrerebbe navigare prossimo a formulazioni d'area "ópticaI" e "programmata". [...] La base della mia spontanea attrazione e dunque della mia stessa interpretazione riportava infatti i "Ritmi vibrazione" e i "Ritmi di luce", certo non impropriamente, in una contingenza segnica attinente l'area dello Spazialismo, nella fattispecie veneziano, e dunque pertinente a questioni segniche dell'Informale. Nell'ambito della cui problematica queste di Finzi risultavano prove in certa misura originalmente quintessenziali, d'una particolarissima corsiva scrittura epitermica misteriosa, vibrata in giallo su tondi neri, allusiva a latitudini immaginative fra d'ispezione fisiologica e di referto tecnologico. Giuseppe Marchiori parlava di emergenza di "forme incandescenti, spetti luminosi, vibrazioni elettriche, al di là di ogni convenzione figurativa", presentandone una personale di Finzi alla Galleria Apollinaire a Milano, nel 1958. Un interesse, il mio, per il suo lavoro, a lungo rimasto monopolizzato dal vivido ricordo di tali immagini di sprazzi sottili di luce, assolutamente nuove, eppure originalmente connesse appunto alla plausibilità fenomenologica delle formulazioni spazia liste veneziane [...]. E proprio accanto a un dipinto interamente di vermicolante animazione segnica multicolore di Tancredi, del 1954, ho potuto ragionevolmente porre un "ritmo vibrazione", giallo su nero, di Finzi, del medesimo anno, motivandoli entro un percorso storico del "non-figurativo" in Italia nella mostra "Dal Futurismo all'Astrattismo", tenutasi a Roma, nella primavera-estate scorse [...].
Enrico Crispalti, Tracce di luce in segno e colore, in Ennio Finzi: Venezia e le avanguardie nel dopoguerra, Galleria Civica d'Arte Moderna, Spoleto 2002.
[...] Con gli anni Novanta Finzi raggiunge il culmine della maturità artistica conseguendo esiti formali nuovi che modificano ancora una volta l'altalenante percorso stilistico. Ora il colore genera all'interno di un reticolo quasi impercettibile di linee, mostra la suo natura originaria, archetipica, impulsando un segnale di straordinaria vitalità. Finzi esplora il colore nella sua essenza più intima, penetra nel mezzo della sua creazione, arriva in tondo al nucleo e lo rende visibile senza l'utilizzo di mediazioni formali. L'ordito di linee che reggeva una struttura costituita da piccoli laboratori alchemici, reminescenza del geometrico neoplasticismo, scompariva a seguito di una sempre più ampia libertà concessa alla forza del colore. La deflagrazione diveniva totale e percepita come forza esplosiva, non più trattenuta e implodente all'interno di piccole cellule, ma resa sulfurea, accecante di luce, non più fenomenica, ma di una dirompente spiritualità,[...].
Michele Beraldo, La tensione spaziale di Ennio Finzi, in Finzi e Morandis, Riscontro di due generazioni dello Spazialismo, Palazzo Reale, Napoli 2007.
[...] Confrontandosi con sempre maggior consapevolezza con lo scorrere del tempo, con l'avanzare dell'età, giunge a confessare che, pur riconoscendo il valore emblematico delle sue opere giovanili, le sente tuttavia, ormai distanti, quasi come se fossero di un altro. Nei suoi Flipper il colore emerge sovente da impalpabili oscurità, per pura emissione. Ogni geometria sembra come svaporare, si tratta infatti di flussi, di affioramenti cromatici, di espansioni, di misteriosi incroci di onde di colore, di segreti magnetismi nei quali una più elegiaca sensibilità effusiva pare combinarsi con la coscienza eraclitea che tutto può essere un gioco, un inspiegabile frutto degli imprevedìbili rimbalzi della sorte. Ma Finzi non rinuncia neppure all'idea di tentare di andare oltre il colore, in una dimensione ancor più indefinita. L'orizzonte stesso del colore può infatti essere da lui considerato come pur sempre una gabbia, una costrizione da cui provare a sfuggire, una misura in qualche modo da eccedere in nuove possibilità, in nuovi recessi della visione. Nascono così le sue recenti Geografìe dello sguardo che, forse per reagire al disinteresse sempre più diffuso e marcato nei confronti dell'arte e della pittura e ad un approccio sempre più superficiale, distratto e impreparato all'opera, sono talora imperativamente intitolate anche Guardami! Si tratta di lavori nei quali gli analoghi spunti già affrontati nei Cementi del 1959 e ancora dei primi anni Novanta, trovano decisivi approfondimenti[...].
Dino Marangon, Dal nero al non colore, in Dal nero al non colore. Opere 1950-2010, Villa Contarini, Piazzola sul Brenta (PD), 2010-2011.
Ennio Finzi - L'esaurirsi è sempre un principio
Ennio Finzi - L'esaurirsi è sempre un principio
Ennio Finzi: L'esaurirsi è sempre un principio. Testo Critico a cura di Dino Marangon.
La pittura estromessa?
Da sempre in pittura il gioco è stato tra l'infinito e la superficie, in un tempo che non è mai stato questione di estensione, bensì di profondità e di densità. " Il pensiero sulla pittura, sul suo perché e sul come..." come Finzi stesso ha avuto modo di scrivere, lo ha spinto a "... una continua e insistente ricerca...", affascinato dal continuo riproporsi delle intuizioni, delle domande, dei quesiti, delle investigazioni, nella convinzione che: " L'arte è il gioco delle idee, più che del fare ..." Questo forse il senso segreto della continuità sottesa al sempre mutevole caleidoscopio della pittura finziana, alla sua costante ribellione nei confronti delle regole, delle grammatiche, delle consuetudini compositive e percettive. Eppure, anche tale continuità, all'inizio del nuovo secolo è sembrata pervenire a una sorta di punto critico, di snodo mai prima percorso o esperito. Si fa infatti strada, nell'animo del pittore, una nuova consapevolezza dei cambiamenti epocali, del nuovo sentimento del tempo. Pur continuando a rimanere convinto della superiorità intellettuale dell'ambito culturale delle avanguardie, volte a esplorare e ad allargare il domìnio delle varie arti e in particolare l'universo del dipìngere, acuendone e perfezionandone l'ascolto, divenuto consapevole dell'impossibilità per l'umanità attuale - quella dei grandi semplificatori mediatizzati, per i quali, come egli stesso ha affermato "... l'organo pensante, non è più il cervello", ma qualcos'altro che va "... dall'ombelico in giù" - di cogliere in profondità i sensi e i significati della pittura, verrà anche da parte sua operando una nuova e ancor più radicale rivolta. " Nell'attesa che un nuovo Big-bang produca un altro sconvolgimento cosmico per un nuovo ordinamento dell'universo ..." (così inizia una sua riflessione ancora inedita) nasceranno allora opere volutamente frutto della mera manipolazione di vari materiali, intenzionalmente in assenza di qualsiasi progetto teorico: puro e semplice "... fare che vorrebbe dire non pensare". Eppure anche questa risposta dichiaratamente sorda e rabbiosa, alla putredine, all'immondizia, all'inarrestabile chiacchiera, all'inquinamento dello sconfinato, eclatante dilagare delle immagini degradate dall'uso e dal consumo iperbolicamente moltiplicato e scadente, verrà modulandosi in una significativa varietà di esiti e di espressioni, di sempre nuove Geografie dello sguardo. Nascono infatti opere caratterizzate da una accentuata materialità, in alcune delle quali sembra tuttavia in qualche modo essere attiva ancora una specie di memoria delle risonanze spazialiste presenti già nelle Tracce e nei Cementi realizzati da Finzi negli anni '50. Le accentuate accidentalità e articolazioni indotte dalla volutamente casuale provvisorietà del gesto sulla plasmabile consistenza materica del corpo dello pittura, sembra infatti attingere a una sorta di aurorale partecipazione spaziale, affiorante tramite il trattenuto fulgore dell'oro e dell'argento, dell'ametista e dei lapislazzuli. Sembra così emergere come una sostanza indefinibile, che non è ancora o non è più colore, un qualcosa che non si libera nell'atmosfera o nella luce, ma partecipando ai palpiti del modellato rimane come aderente alla materia: riflessi, lunghezze d'onda, emissioni cromatiche come bloccate e trattenute prima della loro determinazione, una sorta di pausa, di sospensione che va talora acquistando i toni di una contemplativa, avvolgente elegia. In altri casi a prevalere è invece la reazione alla impossibilità di sottrarsi alla malattia dei tempi. Il fare artistico verrà così configurandosi come pratica terapeutica intesa, quasi freudianamente, come possibilità di immediata scarica delle tensioni che la situazione di incombente, rinnovato disagio continuamente innesta. Ma tale prassi può altresì sottolineare una ribadita assenza di investimento progettuale e di pensiero come pure di ogni attiva partecipazione mentale creativa da parte dell'artista, ponendo capo a una particolare compattezza che si potrebbe definire addirittura olistica. In questi lavori il rifiuto di qualsiasi nesso relazionale e compositivo sembra farsi radicale pur se non riduttivo: nell'uniforme monocromia della superficie del possibile campo di immagine, emerge infatti una significativa ricchezza di modulazioni e modellazioni. Superando per taluni aspetti anche i confini di quella pittura critica - della quale Finzi è stato ed è uno tra i principali protagonisti e che si potrebbe pur sempre ascrivere ad una tradizione espressionista nel campo dell'astrazione - non volendo dire niente, il quadro finisce col porsi come residua enunciazione del nulla, evidenziandone la pura e semplice positività significante. A permanere, tuttavia, è la consistenza stessa dell'opera, intesa non più come immediatezza, grido, denuncia, sostanza primigenia, ma significativamente espressiva, come accadeva nelle poetiche informali, bensì come profonda alterità che non solo va configurandosi come silenzio, radicale estromissione del dipingere, giungendo non solo a denunciare implicitamente, ma in maniera lucida e spietata ogni estetismo, ogni retorica, ogni possìbile infatuazione per il bel gesto, per le pungenti dissonanze, per le irrinunciabili grafìe o gocciolature che pure potevano aver talora popolato anche i dipinti dello stesso Finzi, ma persino col capovolgere la direzione, iI senso stesso della comunicazione comunque istituita dall’opera, dalla sua presenza muta e incongrua. "A questo punto..." sottolineerà infatti lo stesso Finzi,"... interviene ... qualcosa che rovescia i ruoli: cioè non sarà più l’opera ad essere guardata ma essa stessa a guardare attraverso un piccolo frammento di specchio a guisa di centralina, come una specie di sistema nervoso centrale. Titolo questo ciclo di lavoro", preciserà ancora Finzi, "Lo sguardo indiscreto, con sottotitolo guardami." Un invito, questo, che non solo sembra dolorosamente sollecitare un'attenzione distratta o impreparata, ma pare costituire, pur in maniera totalmente laica, anche un segreto richiamo, un'invocazione alla contemplazione dell'alterità metafisica e sacrale insita in ogni integrale, mistica assenza di immagine. Tuttavia ben presto la vita non tarderà a far riemergere le proprie condizioni e possibilità. Si assisterà così ancora una volta, al riproporsi dell'evento del colore. Magari in dislocazioni accidentali e periferiche, squillanti lacerti di azzurro, di verde, di bianco, di rosso, di giallo, pure emissioni cromatiche come private di ogni memoria e di ogni cultura, si riaffacciano allora sulla superficie dell'opera, forse a ricercare nuove, infinite occasioni dì incontro o di scontro, ignote apparenze o apparizioni, inediti percorsi, ancora nuove, sconosciute possibilità di sperimentare, pensare, ideare, alle quali forse non è dato sottrarsi. Perché nell’opera di Finzi, il colore è, forse, un destino.
ENNIO FINZI
ESPOSIZIONI COLLETTIVE
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